Non so voi, ma io non sono mai stata per nulla nazionalista. Ero una ragazzina quando si cominciava a parlare e a sognare un’Europa unita. Quando si scendeva in piazza per difendere ideali e diritti, ci si indignava e si protestava dal vivo e non dietro a uno schermo. E in tutto ciò una vera identità nazionale non l’avevo. Di tanto in tanto pensavo a chi anni prima andava in guerra in nome del suo Paese e pensavo che no, io non lo avrei fatto.
Se vado indietro nel tempo, quando da ragazza vivevo a Milano, vedo una me stessa completamente ignara di cosa il futuro mi avrebbe riservato e allo stesso tempo piena fiducia, e di certo non mi domandavo dovrei avrei vissuto un giorno. Allora l’Europa era un sogno da costruire, un grande progetto che ci veniva raccontato a scuola, e per me ragazzina visionaria e forse ingenua, l’Europa era un unico grande stato, in cui volendo avrei potuto non solo viaggiare, ma studiare, vivere, lavorare… Sì, non sognavo una casa, o un principe azzurro, o dei figli, ma sognavo viaggi internazionali e un futuro in qualche grande città, magari anche solo per studiare o far esperienza… pensando che i confini del vecchio continente sarebbero stati abbattuti insieme ai gabbiotti delle frontiere.
Poi son venuti i voli a basso costo a farmi sentire il mondo ancora più a portata di mano. Parigi, Londra, Berlino, Barcellona mi sembravano infinitamente più vicine e affini di tante città o province italiane… No, lo ammetto, non avevo nessun sentimento che potesse avvicinarsi al patriottismo. Non per senso di rivolta o snobismo o mancanza di rispetto, intendiamoci. Semplicemente mi sentivo cittadina del mondo, senza se e senza ma…
Quando partii definitivamente dall’Italia per trasferirmi in Svizzera, nessuno dei miei amici si stupì per la partenza, più che altro lo stupore era legato alla meta: così vicina, così quieta, così poco europea e innovativa, così poco simile a me, in fondo. Non mi pensavo italiana, come invece venni subito etichettata, perché con lo straniero così si fa in fondo… Non pensavo che avrei avuto problemi di integrazione, nemmeno ero consapevole che in realtà nella Svizzera tedesca esistesse una doppia lingua. Pensavo all’avventura, alle persone che avrei conosciuto, alle opportunità che avrei trovato, alla lingua che avrei imparato… Ingenuamente, lo ribadisco.
E poi forse dalla lontananza nasce il senso di appartenenza, dalle differenze nascono le similitudini, dalla distanza la nostalgia ovviamente… Tanto quanto non mi sono mai sentita nazionalista, mal sopporto (ora come allora) chi parla male dell’Italia di default, chi la sminuisce, chi si sente superiore, gli stranieri che la usano come tema da barzelletta e gli italiani che si credono migliori, non con un’analisi lucida eh, semplicemente così, forse per sentirsi al di sopra, forse è un tema di conversazione come un altro, come il tempo… Che poi spesso sono quelli che non mollano le abitudini italiane manco a morire, che non assaggiano o quasi i cibi locali, che non leggono la stampa internazionale. Sembrano restare attaccati alle tradizioni italiane giusto per il gusto di irriderle.
Io mangio tutto, sì persino il caffè lungo e se capita il cappuccino a pranzo (ok, non con gli spaghetti!) lo ammetto, non mangiamo pasta ogni giorno (nemmeno ogni due), non mi mancano biscotti e merendine. Se devo andare in vacanza spesso non scelgo l’Italia come meta, se non per andare a trovare parenti e amici o per immergermi un po’ nella mia Milano, che non so come con tutto quell’inquinamento riesce a farmi respirare… Sì, mi ritrovo innamorata della mia città di origine, Milano, di un amore totalizzante e di pancia, anche coi suoi difetti e le storture. Sì vedo i tanti terribili difetti della nostra Italia, e soprattutto di noi italiani, e mi fanno male… Ma vedo anche altro, e mi fa ancor più male il fatto che non riusciamo a sfruttarlo.
Questa piccola, forse noiosa riflessione in realtà è scaturita dalla polemica che infuria negli ultimi mesi sullo Ius solis e Ius sanguinis. E io rimango fermamente convinta che la cittadinanza sia più un insieme di diritti e doveri, abbia più a che vedere con il senso civico, che con un senso di appartenenza di tipo nazionalistico. Eppure ancora alla domanda se mi sento italiana mi risuonano le note e le parole di un attualissimo Gaber “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono…”
Eccovi la canzone ed il testo… cosa ne pensate voi?
Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono
Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell’inno nazionale
di cui un po’ mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
se arrivo all’impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.
Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po’ sfasciato.
E’ anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c’è un’aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Rinascimento.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.
Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c’è un’altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido “Italia, Italia”
c’è solo alle partite.
Ma un po’ per non morire
o forse un po’ per celia
abbiam fatto l’Europa
facciamo anche l’Italia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.
Valentina, Svizzera
ciao Valentina
sto con te ..prima ancora di diventare Expat..lo ero già…moltissimi parenti zii e cugini americani , una simil zia in Iraq…nessun senso di appartenenza ..ora da “grande”..(.eufemismo) …:-))..mi sento appartenente al mondo…non giudico ..qualche volta sì…lo ammetto…non condanno …sto bene dove sono ..all’Estero….ritorno per le visite…per figli amici , mamma …. ..estranea in casa….la terra che scotta sotto i piedi…la voglia di ripartire al più presto….l’idea ..dove potrei andare ancora? ma di ritornare nemmeno nel pensiero più recondito….
Sai Gabriella che mi è capitato di rientrare a Milano per un anno e mezzo per motivi personali. ALl’inizio ne ero quasi “spaventata”, sicuro anche un po’ spaesata, in realtà mi sono trovata benissimo per diverse ragioni alla fine, pure vedendone i difetti eh… Mi preoccupa quasi di più il futuro dei miei figli al pensiero di un rientro, che la vita quotidiana lì…
Io come te: mai sentita, nel bene e nel male, italiana. Da sempre europea, e più vicina alla mentalità pragmatica svedese, o tollerante francese. Preferisco il jamon iberico al prosciutto di Parma, e ho quasi pianto quando sono riuscita a trovare il patè fresco a Londra, dopo tre anni di astinenza.
Ti dirò che non sono nemmeno triste dell’uscita del Regno Unito dall’Europa, perché mi sembra che questo protegga chi, come me, ha ancora questo senso di nazione europea unita.
A me nessuno scambia per italiana. Non ho l’accento italiano e nemmeno l’aspetto, e questo mi libera dall’etichetta che non sento mia. È strano, perché per me l’Italia sarà sempre casa… ma io non mi sento italiana, neanche un po’.
brava, Elisa, sei riuscita a esprimere in due parole il mio sentire prolisso. E’ strano perché per me Milano, L’Italia è e resta CASA, eppure se mi chiedono se mi sento italiana… ehm…
Ho sempre pensato che andare a vivere all’estero e cercare di nascondere la propria italianità sia un atteggiamento molto provinciale quanto quello di voler restare attaccati alla propria italianità a tutti i costi. A Londra sorridevo per tutti i giovani italiani che si travestono da londinesi ma tanto io li riconosco subito gli italiani. Io li riconosco da un non so che di familiare che hanno nel modo di camminare, nell’espressione del viso, nel ritmo dei movimenti e ci azzecco sempre anche se non parlano, anche se sono travestiti da viaggiatori scafati, anche se siamo in paesi strani e lontani, gli italiani li fiuto a distanza. Personalmente dopo più di dieci anni all’estero e di convivenza con uno straniero mi è successo quello che credo capiti a tutti gli expat: amo l’Italia più di prima, ho imparato a capirla ed apprezzarla meglio in tanti aspetti quanto ad innorridire sempre piu’ per altrettanti aspetti del nostro bel paese che sono imbarazzanti, delinquenziali. Ho trovato credo un equilibrio tra il mio essere italiana e il non ritrovarmi completamente nel mio paese ma poi penso : siamo più di sessanta milioni, come si fa oggi a definire un solo tipo di italiano? Di certo sono sempre più orgogliosa delle mie origini, non si può negare il contributo che l’Italia ha dato al mondo nei secoli.
hai ragionassimo: l’italiano, come il francese, l’americano, il tedesco sono semplificazioni e come tali sempre molto riduttive! E’ vero però che ci sono Paesi dove più che in altri l’identità nazionale è forte, io che vivo in Svizzera ad esempio lo vedo benissimo qui… dove l’orgoglio nazionale è fortissimo… tanto che a noi italiani a volte scappa un sorriso :-). Io lo ribadisco all’estero non vengo mai riconosciuta per strada ecc come italiana (anzi mi è capitato che mi chiedessero se lo fossi per davvero…), ma questo non riduce l’attaccamento per le mie origini e il riconoscimento di certe eccellenze tutte nostre, passate e attuali. 🙂 Valentina
Secondo me c’è differenza tra il voler nascondere le proprie origini e il non sentirsi italiani. Io, a richiesta, dichiaro di esserlo senza problemi, disquisisco di ragù e di pizza e di mafia a comando, insegno pure a pronunciare ciao e grazie.
Detto questo non mi verrebbe mai in mente di presentarmi dicendo che sono italiana. Semplicemente la nazionalità sul mio passaporto è una parte infinitesimale di me, che non mi viene in mente (forse perché ho avuto un nonno expat, una nonna emigrata e ho vissuto all’estero da ragazzina) e che trovo irrilevante. Questo indipendentemente da quanto mi senta a casa in Italia, sensazione che non perderò mai in nessuna delle quattro regioni che compongono il mio patrimonio genetico.
Da qualche anno ho scelto di rispondere alla domanda “where are you from?” con “Europe” e solo al “where in Europe?” con “Marche region, Italy”, in primis perché mi sento europea, ma soprattutto perché credo nell’identità europea e ci tengo a precisarlo a chi mi sta davanti. Come ha scritto Veronica nel post di oggi, è vero che siamo tutti diversi, ma c’è un qualcosa che ci unisce, un fiume sotterraneo, che per me è più forte di qualsiasi lingua o modo di camminare e di vestirsi. Insomma, per me dire “sono italiano” nel 2017 è come dire “sono napoletano” nel 1890: si resta ancorati a un’identità piccola invece che abbracciare quella globale.
E se anche l’Europa non diventerà mai davvero unita, io continuerò a sentirmi un’europea che è cresciuta in Italia.
Gentile signora,
io mi ritengo cittadino del mondo e membro della razza umana, e sono istintivamente abbastanza diffidente verso i nazionalismi. La vignetta che ha posto accanto al titolo oggi per fortuna fa sorridere, ma evoca un passato che speriamo non ritorni mai.
Detto questo, la ragione per cui si emigra e’ stata ben riassunta da una delle intervenienti: assicurare un futuro ai propri figli, il che in Italia, purtroppo, sta diventando problematico.
I liberali classici, fra i diritti fondamentali, mettevano “la ricerca della propria felicita'”, e quest’ ultimo diritto, qui e ora, mi pare un poco trascurato.
la vignetta indica un soldato italiano che caccia un soldato straniero, ai tempi dunque della liberazione e unificazione italiana… non vedo nulla di così terribile, solo un pezzetto della nostra Storia. Anzi quella fondante la nostra nazione, detto da me che non sono nazionalista…
Le ragioni per cui si emigra sono moltissime, in verità, tra cui spessissimo assicurare un futuro migliore ai nostri figli risulta essere una delle più importanti, ma esistono tante spinte, tra cui la curiosità, la realizzazione personale, le opportunità del momento, l’amore per qualcuno che non vive in Italia, la voglia di fare esperienze diverse… ed è bello, bellissimo cos’! Valentina
Gentile signora,
scusi se mi permetto una replica.
La vignetta e’ del periodo della prima guerra mondiale, e ricorda la guerra di trincea sul fronte italiano.
Un minuto di silenzio e una preghiera per quelli che non ne sono tornati, ma una seconda preghiera perche’ quelle cose non ritornino, mai piu’.
Se vuole, quando ha un momento libero, puo’ leggere “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu, o vedere il terrificante film che ne e’ stato tratto, “Uomini contro”, di Francesco Rosi. Le diranno molte piu’ cose di quanto possa dirle un ignorante quale io sono.
Buon proseguimento, e che le uniche lotte fra i popoli siano quelle per eccellere nell’arte e nella scienza.